Un grande film, premiato con il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia 2017.
Purtroppo non ho potuto vederlo in versione originale per una questione di organizzazione del mio tempo, ieri non era in programmazione al cinema Odeon di piazza Strozzi, quindi mi sono dovuto accontentare della versione doppiata.
È come se mi avessero costretto a vedere la Gioconda con lo sfondo cambiato per rendere il quadro “più facilmente comprensibile”. Che assurdità!
È vero che in questo film i due protagonisti principali non parlano, perché sono, per motivi diversi, privi del dono della parola, ma un capolavoro, un esempio di ciò che può dare l’arte cinematografica in mano a chi ci sa fare, non si priva di un elemento fondamentale: la voce vera degli attori.
Persone mostruose (i mostri), persone umane (gli umani), acqua e orologi sono gli ingredienti di questo film.
I mostri sono i generali americani e sovietici, che credono solo alla loro volontà di esercitare un potere e sono disposti a torturare e torturarsi, a uccidere e anche a morire per riuscire a comandare, per riuscire a decidere il destino di tutti.
Sono molto simili tra loro queste persone mostruose e, pur da fronti opposti, agiscono nello stesso, identico modo.
Poi ci sono quelli che si mettono al servizio dei mostri, come lo scienziato votato alla causa dei generali sovietici: reprime i suoi dubbi in nome della fede, si fa usare e capisce solo alla fine che, per non tradire la propria umanità, deve tradire i propri mostruosi “compagni”.
Un altro modo di servire i mostri, questa volta americani, è il modo scelto dal vecchio pittore, che si è allontanato dal mondo e vive tra film romantici d’altri tempi, per tornare, ogni tanto, nel mondo reale - con la calvizie nascosta da una parrucca (gli sembra di impreziosirla chiamandola toupet, alla francese) - dove cerca di piazzare un quadro e cede alla tentazione di abbuffarsi di torte che alla sua unica amica sembrano, e sicuramente sono, disgustose.
Anche il vecchio pittore sarà costretto a non girare per una volta lo sguardo da un’altra parte e a correre dei rischi per non essere ridotto a un niente, come dice la ragazza.
Infine ci sono le persone dotate di umanità (persona, dal latino “maschera”, poi “corpo”, “individuo”): la ragazza muta, l’essere anfibio, la donna delle pulizie.
Sono individui capaci di esprimere solidarietà, comprensione, indulgenza verso gli altri - nonostante abbiano vissuto vicende drammatiche e, in modi diversi, la vita li abbia sottoposti a prove difficili.
Grazie a questo sentimento di solidarietà, la ragazza muta riesce a stabilire un rapporto con il diverso, nonostante sia molto diverso, e trova anche la possibilità di esprimere la propria sessualità compressa e di liberarsi per liberare l’altro, il prigioniero, il perseguitato.
L’essere anfibio, bellissimo, adorato come un dio dagli abitanti del paese dove è stato catturato, dotato di capacità straordinarie, come far ricrescere i capelli o guarire le ferite. Alla fine anche resuscitare, e far resuscitare la ragazza che ama, la ragazza muta che, per un momento, grazie al suo amore, aveva riacquistato la parola.
La donna delle pulizie, la povera donna grassa, a cui fanno male i piedi, che valuta le persone per quello che sono, per come si comportano nelle latrine (“sono grandi scienziati ma non riescono a centrare il water”, è un suo commento), parla continuamente del marito, un poveraccio, ma comprende cose molto difficili e inaspettate e fa sempre la scelta giusta, nonostante la sua paura di povera donna che può difendersi solo con la prudenza o con la menzogna.
Queste tre persone sono i nostri eroi, quelli per cui parteggiamo dall’inizio alla fine.
Il mostro principale è lui, il generale americano, che considera un segno di debolezza lavarsi le mani prima e dopo avere urinato, e vorrebbe rendere il mondo uguale a se stesso, alla sua orribile casa, alla sua orribile famiglia, alla sua orribile, mostruosa, moglie bionda con cui ha rapporti sessuali che sono come stupri, che non possono essere interrotti neanche dal sanguinamento delle dita amputate.
L’acqua.
In questo elemento si svolgono le scene più belle, più emozionanti del film, a cominciare dalla scena onirica iniziale, con il letto e le suppellettili galleggianti nella stanza piena d’acqua, il letto con la ragazza sopra, tranquillamente sprofondata nel sonno, immersa in un utero accogliente.
La scena centrale, quando la ragazza decide di unirsi al proprio amato nel suo elemento e riempie di acqua la stanza da bagno, fino a provocare perdite dal solaio e proteste dal cinema sottostante (ci si aspetta l’inizio di uno di quei diluvi di cui l'artista multimediale statunitense Bill Viola è maestro).
Bella quest’idea della casa sul cinema, dove proiettano film dell’epoca d’oro che solo pochi spettatori, alcuni mezzo o completamente addormentati, vanno a vedere.
L’acqua entra, trionfalmente, anche nella scena finale, con la pioggia incessante e, infine, nel canale che porta all’oceano, alla libertà, finalmente immersi nell’elemento primordiale, illimitato, dove non ci sono generali mostruosi né orari da rispettare.
Gli orologi.
Scandiscono la vita quotidiana della ragazza, i gesti ripetuti: la sveglia all’alba, la cottura delle uova sode, l’autobus che l’accompagna al lavoro e lei cerca di ritrovare il tepore della notte appoggiando il cappellino al vetro e la testa al cappellino per un altro poco di sonno (che finezza in questi gesti, in tutti i gesti della ragazza, anche lo “svago” mattutino nella vasca da bagno è trattato con gentilezza), la corsa per timbrare il cartellino, sempre in ritardo, come chi non vuole farsi schiavizzare dal tempo e dagli orologi.
Forse qua ci metto del mio, ma a me sembra di vedere questo elemento: gli orologi sono i guardiani, i carcerieri che ci costringono a scandire il tempo come in una prigione, che costringono la ragazza in una serie di gesti ripetitivi, da cui solo la rivoluzione dell’amore riesce a liberarla.
È una favola e, come tutte le favole, ha un finale ottimistico, anche se passa attraverso scene orribili.
La scena più orribile, paragonabile al lupo che mangia la nonna di Cappuccetto rosso e si mette nel letto al posto suo, un racconto che fa rabbrividire, è quella dell’anfibio, il nostro amico, che approfitta del sonno del pittore per mangiarsi un gatto.
Questa scena avrà alienato le simpatie degli animalisti per questo personaggio e da questo momento avranno cominciato a parteggiare per i generali russi e americani che lo vogliono morto.
Anche l’animalismo che vuole per forza ignorare la natura è una mostruosità (ho letto di vegetariani che cercano di far diventare vegetariano anche il proprio cane).
La scena è coerente con il personaggio: l’organismo anfibio, dotato di forza e poteri straordinari, come ci spiega lo scienziato in un passaggio, ha bisogno di proteine pronte.
Infatti il primo contatto con la ragazza è avvenuto attraverso le uova sode, che la ragazza ha utilizzato per avvicinarlo.
Poi hanno cominciato a comunicare, e questa reciproca disponibilità a comunicare li ha fatti innamorare.
Una favola, avvincente ed emozionante; ci tiene attaccati allo schermo dall’inizio alla fine, fino alla liberazione finale (una favola non può non finire bene).
Potrebbe essere solo un sogno del vecchio pittore pazzo che ci racconta come è andata a finire, o potrebbe essere davvero accaduto. Per essere esatti, siccome sappiamo che buona parte del film è davvero accaduta (la guerra fredda e calda, il dominio e la violenza dei mostri) e accade continuamente, l’unico dubbio è se davvero potrà esserci una liberazione o questa parte finale è solo il sogno di un vecchio pazzo, innamorato dei film romantici dell’infanzia gloriosa, commerciale ma gloriosa, del cinema.
Come ogni opera d’arte, questo film fa pensare, lascia un segno che rimane anche quando si esce dal cinema.
È un film complesso, probabilmente si potrebbero trovare in esso tanti simboli e significati più o meno nascosti (spero di avere riportato solo alcuni di quelli palesi), ma si può anche vedere col cuore, seguire col cuore, credere, per tutta la durata del film, alla favola che si svolge sullo schermo, farsi trascinare dal racconto, in questo agevolati dalla straordinaria abilità del regista, dalla bravura degli attori, dalla bellezza delle scene.
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