Bianco e nero fortemente contrastato, luci forti a illuminare i primi piani che rendono ancora più brutti i volti tesi dei sette partecipanti alla festa, al party, volti scavati da una tensione continua, da bisogni in contrasto con le chiacchiere, in contrasto con l’apparenza di persone realizzate, ragionevoli, fedeli ai propri convincimenti. Contrasti che si sommano, finzioni.
Fingono una passione politica di vecchia data, diventata, quasi senza accorgersene, meschino arrivismo, nascondono insicurezza e odio reciproco, aggressività senza limiti, che esplode con schiaffi improvvisi, frustate sibilanti che ti fanno sobbalzare sulla poltrona, con un pugno in pieno volto, dal basso verso l’alto, che ci fa precipitare insieme al vecchio Bill, a terra privo di sensi.
La paura della morte imminente lo aveva messo per la prima volta davanti al castello di falsità su cui è costruita la sua vita e quella della moglie e degli amici.
Tutto falso, come nella canzone di Georges Brassens: falsa vergine, falso pudore, falsa febbre, simulatori quegli angeli artificiali venuti da un falso settimo cielo (*).
Dalla prima scena Bill li guarda con aria sperduta, addolorata, prova a smontare il castello di falsità, rivelando la cosa vera che gli sta capitando (“perché proprio a me?”), ma subito gli altri, soprattutto la moglie, s’impegnano a ricostruirlo, con la solidarietà (falsa), la disponibilità alla “rinuncia” (finta, naturalmente). Allora non gli resta che dare un calcio a tutto il castello e prendersi, senza il minimo accenno di autodifesa, gli schiaffi dalla moglie e il pugno in pieno volto dal marito dell’amante.
Una violenza tutta interna ai personaggi, a volte esplode perché non ce la fa più ad essere contenuta, e può portare fino all’omicidio, si capisce fin dall’inizio, con quella pistola che va avanti e indietro dal secchio della spazzatura, e forse spara dopo l’ultimo fotogramma.
Buona parte del film si svolge in una stanza da bagno tristissima, utilizzata soprattutto per vomitare, anche per sniffare cocaina o per piangersi addosso seduti sul water; manca il bidet, risorsa dell’igiene intima purtroppo poco diffusa in Gran Bretagna.
Sette personaggi partecipano al party. L’ottavo è una donna, in ritardo; non la vedremo quando arriverà alla fine e troverà la pistola puntata contro. È il personaggio che fa muovere l’intera vicenda, avendo tradito contemporaneamente: il giovane marito ladro della finanza, il vecchio amante ateo e positivista finché non gli tocca di morire, la moglie del vecchio positivista, una donna in carriera, che ha raggiunto un incarico prestigioso nel Labour Party (notare l'assonanza), l’incarico di ministro della sanità del governo ombra, prestigioso ma privo di potere, se non come trampolino di lancio in caso di futuri successi elettorali.
Molti luoghi comuni della sinistra progressista europea sono presi di mira in questo film, per esempio l’omosessualità obbligatoria: la giovane incinta di tre bambini, forse, ahimè, maschi, introdotti nel suo utero con la fecondazione artificiale e robuste dosi di ormoni, gelosa e scandalizzata del passato eterosessuale della sua matura, diciamo anche anziana, compagna, pretende di ridefinire il concetto di mostruosità sulla base delle sue personali tendenze sessuali (“hai avuto un rapporto eterosessuale in gioventù? Un uomo è entrato dentro di te. Mostruoso!”).
L’unico che conserva un po’ di lucidità quando serve e che riesce anche a prendersi in giro con le sue strampalate teorie new age (chissà se veramente ci crede) e le sue camicie a fiori, è il personaggio interpretato da Bruno Ganz, il tedesco (in realtà l’attore è svizzero di madre italiana), disprezzato dalla moglie, sapientona cinica e distruttiva, ferma nei suoi immutabili principi, falsa fino dal suo primo apparire sulla scena.
L’elemento comico del film è l’impegno più volte dichiarato dall’arrivista neo ministra (scrivo così solo per non far dispiacere la Boldrini, anche se mi sembra una delle cazzate della scorsa legislatura: ministra, sindaca, perché non “guardio del corpo”?), a lavorare per migliorare il servizio sanitario “a favore delle classi subalterne”.
Due parole sulla sala: il cinema Spazio Uno in via del Sole, a Firenze.
La storica sala in un’antica via del centro di Firenze, a due passi da Santa Maria Novella, comodissima per chi, come me, arriva in treno, una sala dedicata da sempre al cinema d’essai, che ci dà la possibilità di vedere film che le altre sale non prendono neanche in considerazione, film a volte importanti, a volte deludenti, comunque da vedere, da non lasciarsi sfuggire.
La cosa più importante è che i gestori hanno le idee chiare sul valore culturale di questo cinema e delle attività che si svolgono in esso, rappresentate simbolicamente dalla bellissima, antica macchina da proiezione che si vede entrando e facendo la fila alla biglietteria (è uno dei rari casi in cui è un piacere fare la fila, sia perché si possono guardare le locandine, sia perché significa che non siamo soli a capire la differenza che passa tra cultura e commercio).
(*) Georges Brassens - Histoire de faussaire
“... ... ... ... ...
Fausse vierge, fausse pudeur,
Fausse fièvre, simulateurs,
Ces anges artificiels
Venus d'un faux septième ciel.
... ... ... ... ...”
Spiegazione degli ultimi due versi: “les soupirs des anges” sono i sospiri che le dame emettono al momento dell’estasi. Anche quelli, dice Georges Brassens, sono, a volte, artificiali, falsi.
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°°°°°°°°°° Cinema °°°°°°°°°°